Non c’è brodetto senza spine
Parola dello chef vastese Jean Pierre Soria. Un piatto che diventa portabandiera di un sistema eco-gastronomico virtuoso e più green, a impatto dolce sull’ecosistema marino. Uno strumento di rilancio dell’economia locale tutto l’anno
Di Jolanda Ferrara
Gusto verace del Brodetto di pesce alla vastese e creatività ben ancorata alla tradizione marinara della Costa dei Trabocchi. Da sempre compagni di viaggio di Jean Pierre Soria, 46 enne cuoco nato a Milano (il nome francese eredità della nonna materna, di Montpellier) e vastese fin nel midollo (nonno traboccante, il papà ristoratore sulle navi da crociera, oggi suo insostituibile uomo in cucina), alfiere riconosciuto della zuppa di pesce più famosa del medio adriatico e piatto simbolo di Vasto, il Brodetto. Parola di Slow Food che per il terzo anno consecutivo ha incoronato la sua creatura, il ristorante Cibo Matto (centro storico di Vasto) con la Chiocciola che premia le migliori tavole italiane di tradizione e territorio; riconoscimento unico nella provincia di Chieti.
Ad Abruzzo Economia “Mister Brodetto” racconta del piatto forte della Costa dei Trabocchi, il Brodetto di pesce alla Vastese, tra luci e ombre, unicità e criticità della comunità marinara teatina nello scenario (si spera) post Covid. Spinato e sfilettato, versione molecolare in coppa Martini, bianco con patate e zafferano, in kit sottovuoto nei giorni del lockdown. Fermo restando il classico allestimento nel tegame di coccio secondo la ricetta storica, punto di orgoglio della cucina tradizionale vastese che resiste a tutte le mode. Con “almeno” 13-14 varietà di pesce fresco di stagione immerse in un sugo, lento, di pomodoro fresco Mezzotempo e peperone verde a cornetto.
Alla ripresa la tradizione vince?
«Più forte che mai, si direbbe. Il cliente che sta tornando al ristorante mostra di aver selezionato a monte e sa già che genere di cucina cerca. Nel caso specifico della cucina di mare, vedere gente che ricerca piatti di pesce con le spine mi restituisce speranza!».
Perchè?
«Oggi la ristorazione più comune è fatta di pesci a trancio provenienti per di più da mercati internazionali. Nel piatto non vedi la testa né la coda del pesce, non hai idea di cosa stai mangiando veramente, calamaro, totano, seppia, oppure filetto di orata, ricciola, spigola, a malapena riconosci il tonno per il colore rosso della carne. È un fatto di cultura, nel senso di conoscenza che manca. Il gusto comune non ama il pesce con le spine, predilige molluschi, scampi, mazzancolle, polpo. Pesce pregiato, costoso. Mentre orata, mormora, dentice, sarde, il pesce migliore del nostro sottocosta, è lasciato da parte. Insostenibile per l’ecosistema marino e per l’economia marinara del territorio».
Come risolvere?
«Approcciare un ristorante tipico significa imparare a riconoscere il pesce, che deve essere pescato localmente “a miglio zero” e fresco di stagione, servito intero cioè con le lische testa compresa, e vederselo pulire davanti. È compito dell’oste ed è un modo di trasmettere cultura e tradizioni legate a quei piatti. Un impegno a cui non mi sottraggo anche con il ristorante pieno, è una parte irrinunciabile della mia accoglienza».
Secondo disciplinare e marchio depositato presso la Camera di commercio di Chieti – Pescara, il brodetto alla vastese – di cui lei è stato ambasciatore al Salone del Gusto di Torino nel 2012 – è quello fatto di pesci tipici della costa teatina, cucinati interi con le lische. No fumetto, no sfilettamenti come sperimentato dall’alta ristorazione. Lei stesso si è schierato in difesa del piatto tipico quando il racconto della tradizione minacciava di essere stravolto dall’intervento di qualche chef stellato.
«Il piatto tipico vastese è risultato della cultura del luogo e di uno stile di vita che accomuna pescatori e contadini della Costa dei Trabocchi. Va fatto con materie prime locali di terra e di mare, il pesce utilizzato deve essere riconoscibile, di taglia selettiva (esempio reti a maglie più larghe, ndr) e sostenibile, e spinato prima di essere assaporato. È quello che mi sforzo di trasmettere ai miei clienti, se necessario insegno anche a pulirlo. Un approccio che fortunatamente sta prendendo piede nella ristorazione contemporanea. Il futuro è nella riscoperta della tradizione, la cucina tipica consente di riconoscere il pesce utilizzato e averne memoria: scorfanetti, rospetti, oratine, mormorette, denticiotti, saraghetti, merluzzetti e così via. Il brodetto della tradizione è più moderno di quanto non sembri, rappresenta un modo sano, gustoso, economico e sostenibile di promuovere il prodotto locale nostrano senza sprechi».
D’inverno e d’estate come cambia la qualità del brodetto, qual è la stagione migliore per apprezzarlo?
«Il pesce della nostra costa è buonissimo e vario in ogni stagione. Peraltro l’anno e mezzo di fermo causa pandemia ha favorito il ripopolamento di molte specie in mare. Rimane però il problema del tonno, che per legge non si può pescare, e di altri pesci predatori che fanno da spazzino tra Mediterraneo e Adriatico mangiando tutto il pesce piccolo. A ciò si aggiunge che siamo fortemente penalizzati dal fermo pesca in Adriatico nel pieno della stagione estiva: d’estate il brodetto funziona benissimo con i turisti, d’inverno è in testa alle preferenze della clientela domestica».
Si può parlare di esempio di sostenibilità offerto dalla comunità della pesca locale?
«Il problema è proprio lì, la sostenibilità. Non c’è futuro per la piccola marineria locale finché sarà loro richiesta certificazione di tracciabilità e fatturazione del pescato alla stregua dei grossi fornitori organizzati. Un problema che ricade direttamente sui ristoratori che lavorano sulla qualità del pescato locale. Gli artigiani della piccola pesca, in gran parte gente umile e avanti con l’età, proprietari di imbarcazioni di pochi metri, non hanno interesse a fatturare con partita iva e registratore di cassa, mentre ne sono esentati i piccoli agricoltori che vendono ai mercati contadini. I piccoli pescatori vendono quel po’ di pescato giornaliero liberamente sulla spiaggia e ai mercati rionali, per pura sopravvivenza. Ritirare pesce da loro è rischioso penalmente, irregolare secondo la normativa. È uno dei motivi per cui è tramontato il festival del brodetto vastese che si svolgeva negli anni passati, con bel successo».
Cosa chiedere alle autorità in materia?
«La legge dovrebbe permettere alla ristorazione di acquistare una certa quantità di pescato della piccola marineria, altrimenti quelle famiglie moriranno di fame. Purtroppo finora manca una via d’uscita. A meno che non si intervenga attraverso organismi più strutturati, come potrebbe essere il neonato Daq Distretto agroalimentare di qualità Abruzzo (consorzio di soggetti protagonisti della filiera ittica abruzzese aggregatisi per dare nuovo slancio al settore: come anticipato da Flag Costa dei Trabocchi, obiettivo del Daq sarà di intermediare tra produttori e istituzioni, convogliando risorse, cogliendo opportunità che arriveranno dal Piano della pesca 2021 – 2027. Restiamo in attesa di aggiornamenti per darne conto su queste pagine, ndr)».